Studio Legale Panariti & Morelli

Riportiamo di seguito il commento del sito internet Altalex del 19.9.2017 all’ordinenza del Consiglio di Stato n. 6129/2017 a definizione del ricorso curato dal nostro Studio in materia condominiale di installazione di ascensore o servoscala per condòmino disabile

Servoscala o anche ascensore? Rimedi al diniego assembleare

Di Redazione Altalex

Articolo,  tratto dalla rivista ImmobiliProprietà, Ipsoa, segnalazione del  19/09/2017

Pubblicato il 19 settembre 2017

In caso di inerzia o diniego dell’assemblea all’installazione di un ascensore in condominio, il disabile ha il diritto di “installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili” (art. 2, comma 2, L. n. 13/1989). L’elencazione di tali dispositivi è tassativa ed esclude l’ascensore? E se quest’ultimo, per la struttura del fabbricato, non consentisse neppure di raggiungere l’appartamento del disabile, fermandosi al pianerottolo sottostante? L’ordinanza della Cass. n. 6129/2017 affronta entrambe le questioni, nella prospettiva di una “solidarietà condominiale”.

La installazione di un ascensore, allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche, realizzata su parte di aree comuni dell’edificio condominiale (nella specie, un’area destinata a giardino), deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, di talché rientra nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c. 

Sul tema del superamento delle barriere architettoniche nei condomini, Alessandro Maria Colombo, avvocato esperto nelle controversie condominiali, ha pubblicato un approfondimento. L’articolo è ripreso da ”ImmobiliProprietà”,  il magazine edito da IPSOA che analizza e approfondisce i problemi legati alla amministrazione, gestione e compravendita degli immobili 

Novità della disciplina urbanistico-edilizia

L’installazione in condominio di impianti atti al superamento delle barriere architettoniche impone di risolvere, in via implicita ovvero bonaria e talvolta giudiziale, la valutazione comparativa tra opposti interessi: da un lato, l’esigenza di accessibilità dell’immobile anche a chi sia affetto da disabilità; dall’altro, quella di non pregiudicare l’uso di spazi comuni e privati, da destinarsi all’installazione degli impianti medesimi, e di preservare sicurezza e decoro del fabbricato.

Sul piatto della stadera su cui poggia l’interesse a rendere gli edifici da chiunque agevolmente accessibili vanno certamente annoverati due contrappesi recenti, di non trascurabile massa, che confermano il favor della nostra società verso un’edilizia più moderna e inclusiva.

Sotto il profilo edilizio-urbanistico, anzi tutto, il D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222 (c.d. “SCIA 2”) ha introdotto in materia un nuovo regime amministrativo, distinguendo, nell’allegata “tabella A”, due diverse fattispecie: a) il punto 21 della tabella prevede che gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche, i quali non comportino la realizzazione di ascensori esterni o di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio, rientrano tra quelli da realizzarsi in regime di attività libera che, quindi, non necessitano dell’ottenimento di alcun titolo abilitativo; b) il punto 22 della tabella assoggetta alla Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA) gli interventi di eliminazione delle barriere architettoniche definiti “pesanti”, che comportino, cioè, la realizzazione di ascensori esterni ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio.

In entrambi i casi, trattasi di semplificazioni del regime autorizzativo di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), da salutarsi con favore.

La fattispecie civilistica

Sotto il profilo civilistico, l’ordinanza della Cass., Sez. VI, n. 6129/2017[1] conferma la forza di un’interpretazione giurisprudenziale estensiva e costituzionalmente orientata della normativa speciale.

Quasi trent’anni or sono, il legislatore ha indicato, al comma secondo dell’art. 2, L. 9 gennaio 1989, n. 13 recante “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”, le forme di autotutela del condomino[2] disabile che, pur a fronte delle maggioranze benevole previste dal primo comma del medesimo articolo, peraltro intaccate dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, intendesse ugualmente by-passare strutture edilizie costituenti barriere architettoniche nel proprio condominio.

La disposizione menzionata prevede che, nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni dirette ad eliminare le barriere architettoniche, i portatori di handicap o chi li rappresenta legalmente possono installare, a proprie spese, “servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili” e possono anche modificare l’ampiezza delle porte, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages[3].

L’elencazione normativa di tali dispositivi e “strumenti minimali” ne esclude altri possibili, in particolare l’ascensore?

Sulla fattispecie oggetto della pronunzia di legittimità in commento interviene, dapprima, il Tribunale di Trieste, il quale accerta il diritto di cinque condomini ad installare un ascensore, occupando una parte del sedime del giardino comune, a ridosso della facciata, in prossimità del portone d’ingresso condominiale. La domanda degli attori consegue al duplice rigetto dell’assemblea condominiale alla proposta di installazione dell’ascensore e deduce la difficoltà di deambulazione[4] di due condomine.

La Corte d’Appello triestina riforma però la sentenza di prime cure, con due ordini di motivazioni: in primo luogo, il fatto che “l’ascensore è manufatto diverso dal concetto di servoscala o altre strutture mobili e facilmente amovibili”, di cui alla L. n. 13 del 1989, art. 2, comma 2; in secondo luogo, il fatto che l’ascensore comunque non consentirebbe alle condomine appellate di raggiungere senza problemi i rispettivi appartamenti, “dovendo fermarsi sul pianerottolo dell’interpiano con dieci gradini da percorrere a piedi”. La Corte di Trieste, pertanto, ritiene l’installazione dell’ascensore lesiva dell’art. 1102 c.c., ed in particolare della destinazione a giardino dell’area comune, e quindi illegittima in difetto di valida deliberazione assembleare.

Il motivo del ricorso di legittimità che convince gli Ermellini deduce, in particolare, violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., in relazione alla L. n. 13 del 1989, artt. 1 e 2, degli artt. 1120, 1121 e 1136 c.c. nonché degli artt. 2, 32 e 42 Cost.

La Corte di cassazione ritiene di accogliere il ricorso per manifesta fondatezza e, definendo il giudizio con la citata ordinanza, consente ai ricorrenti di superare, nei termini di cui si dirà, sia il limite di una interpretazione letterale della L. n. 13/1989 sia quello fisico, derivante dall’impossibilità strutturale di realizzare uno sbarco dell’ascensore al piano dell’appartamento da servire.

Il ragionamento della Corte

La premessa sistematica del Supremo Collegio inquadra, anzi tutto, l’installazione di un ascensore fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche, di cui alla L. 3 marzo 1971, n. 118, art. 27, comma 1, e al d.P.R. 27 aprile 1978, n. 384, art. 1, comma 1, e perciò la qualifica innovazione che, ai sensi della L. n. 13/1989, art. 2, è approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 2, e ciò in linea con il consolidato orientamento della Corte[5].

L’ordinanza in commento prosegue affermando che “l’installazione di un ascensore, allo scopo dell’eliminazione delle barriere architettoniche, deve considerarsi indispensabile[6] ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento”. “Di tal che”, procede il ragionamento, “nel valutare il contrasto delle opere, cui fa riferimento la L. n. 13 del 1989, art. 2, con la specifica destinazione delle parti comuni, sulle quali esse vanno ad incidere, occorre tenere conto altresì del principio di solidarietà condominiale[7], secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione[8], da parte di costoro, degli edifici interessati”.

L’ordinanza in esame, tuttavia, esprime il profilo più evolutivo laddove afferma che “ai fini della legittimità dell’intervento innovativo approvato ai sensi della L. n. 13 del 1989, art. 2, è sufficiente, peraltro, che lo stesso (pur non potendo, come nella specie accertato dalla Corte di Trieste, in ragione delle particolari caratteristiche dell’edificio, raggiungere l’ascensore direttamente gli appartamenti dei portatori di handicap, dovendosi fermare sul pianerottolo) produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione”[9].

I giudici di legittimità dimostrano così di ritenere non ostativo all’intervento di installazione dell’ascensore da parte di singoli condomini, peraltro non portatori di handicap: 1) né l’impossibilità strutturale di uno sbarco al piano dell’appartamento; con ciò fornendo una lettura logica, finalistica e difficilmente non condivisibile della normativa speciale di tutela dei disabili, che legittima ad invocare la L. n. 13/1989 anche ove la soluzione tecnica adottanda non sia del tutto risolutiva ma anche solo idonea al parziale conseguimento degli obiettivi della legge medesima; 2) né il fatto che l’ascensore non rientri tra impianti e strutture espressamente menzionati dal comma secondo dell’art. 2, L. n. 13/1989[10]. Sul punto, il placet della Corte diviene esplicito laddove, affermata l’indispensabilità dell’impianto, riconosce che l’installazione del medesimo “rientra, pertanto nei poteri spettanti ali singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c.”[11].

In tal prospettiva, il comma 2 dell’art. 2, L. n. 13/1989, appare una sorta di specificazione del portato generale della norma codicistica in tema di comunione, disciplinate l’uso della cosa comune[12], laddove l’impianto elevatore diviene una delle possibili modificazioni necessarie per il migliore godimento dell’edificio ed il pregiudizio di un certo godimento della cosa comune è compensato da un altro, “di contenuto oggettivamente migliore[13] (l’ascensore), mentre la posizione dei condomini dissenzienti resta salvaguardata dalla possibilità in qualunque tempo di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto e, quindi, di partecipare ai vantaggi del nuovo servizio”[14].

La giurisprudenza di legittimità aveva già tratto conclusioni simili affermando che “la norma dell’art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l’approvazione di innovazioni che comportino per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese, torna applicabile la norma generale dell’art. 1102 c.c. – che contempla anche le innovazioni – secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, e, a tal fine, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune, come applicare nella tromba delle scale dell’edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione di tutti i condomini”[15].

Prospettive rovesciate nel caso risolto dal Tribunale di Roma: in questo caso, alcuni condomini avevano interesse ad installare un ascensore che, però, era incompatibile con il servo scala già installato, ai sensi dell’art. 2, comma 2, L. n. 13/1989, da altri condomini con handicap. Oppostisi questi ultimi alla rimozione del servoscala esistente e all’installazione dell’ascensore, il Tribunale accoglieva la domanda degli attor, considerato che “il diritto dei condomini che, dall’installazione dell’ascensore possono ben trarre analogo apprezzabile beneficio in particolare con riguardo agli anziani o alle persone con ridotta capacità fisica anche temporanea dimoranti ai piani più alti, non può essere completamente sacrificato a fronte delle contrapposte esigenze dei convenuti laddove la tecnologia consenta l’esercizio, seppur con reciproci sacrifici, dei contrapposti diritti su beni comuni in particolare senza comprimere eccessivamente quelli rappresentati da persona portatrice di handicap se, con il servo scala del modello suindicato, ben può superare le barriere architettoniche per poter accedere alla sua abitazione”[16]: quindi, rimozione del vecchio servo scala e installazione dell’ascensore e di un nuovo servoscala, di modello compatibile con l’ascensore.

La rimozione degli impianti antibarriera

Che ne è, infine, di impianti ascensori e servoscala dopo il decesso del soggetto il quale, anche in ragione delle proprie limitazioni fisiche, ne abbia ottenuto l’installazione, ovvero quando il medesimo non sia più condomino? La S.C. chiarisce che “il diritto al mantenimento ed all’uso dei dispositivi antibarriera (nella specie, un dispositivo servo scale), installati (anche provvisoriamente) in presenza di un soggetto residente portatore di “handicap” o comunque in condizioni di disabilità, non costituisce un diritto personale ed intrasmissibile del condomino disabile, che si estingue con la morte dello stesso”[17].

In ogni caso, per rimuovere un’opere antibarriera, ad esempio deliberando la distruzione di uno scivolo per disabili in quanto il portatore di handicap non è più condomino, non dovrebbe ritenersi applicabile la maggioranza agevolata: “la rimozione dello scivolo potrebbe configurare un’innovazione, con conseguente necessità del quorum di cui all’art. 1136, comma 5, c.c., in quanto le agevolazioni di cui sopra sono ritenute applicabili indipendentemente dall’effettiva presenza o meno, nello stabile, del portatore di handicap e posto che la normativa richiamata ha lo scopo di consentire la libera frequentazione di tutte le specie di edifici, anche da parte di disabili che possano recarvisi e non solo da parte di quelli che vi abitano”[18].

[1] Depositata il 9 marzo 2017, relatore Dott. A. Scarpa.

[2] “Tenuto conto dell’ampia formulazione della norma, è da ritenere che le opere in essa contemplate possano essere eseguite anche da portatori di handicap che non rivestano la qualità di condomini”, R. Triola, L’evoluzione del Condominio, Milano, 2008, 145. In senso restrittivo, Trib. Savona 26 maggio 1994, in Arch. loc. e cond., 1995, 668, ha invece negato la tutela ad un condomino che usufruiva dell’immobile solo saltuariamente.

[3] Sono comunque fatti salvi i limiti di cui agli artt. 1120, comma 4 (all’esito delle modifiche introdotte dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220), e cioè il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino, e di cui all’art. 1121, comma 3, che, in caso di innovazioni gravose e voluttuarie, assegna a condomini, loro eredi o aventi causa, in qualunque tempo, il diritto di partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera, dalla quale non avevano inizialmente inteso trarre vantaggio. Ne consegue che neppure “l’assemblea possa a maggioranza ledere i diritti dei singoli condomini sulle porzioni dell’edificio di proprietà esclusiva. In particolare, la norma in questione vuole certamente favorire quelle innovazioni che aumentano la funzionalità e il valore dell’edificio, ma pone il limite invalicabile dell’inservibilità della parte comune anche nei confronti di un singolo condomino. Inservibilità che non può consistere nel semplice disagio rispetto alla sua normale utilizzazione” E. Vincenti – in R. Triola (a cura di), Il nuovo Condominio, Torino, 2013, 972. In termini più generali, “ai condomini riuniti in collegio è consentito operare con larghezza ed efficacia: è permesso apportare modificazioni alla destinazione o alla conformazione fisica delle cose, quindi, installare nuovi impianti, con il limite insuperabile della salvaguardia dei diritti, che ai singoli derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni e dell’impossibilità di impedirne l’esercizio”, R. Corona, Proprietà e maggioranza nel condominio negli edifici, Torino, 2001, 462.

[4] “In ordine all’ambito soggettivo di applicazione della L. n. 13/1989, si è riconosciuto che tra i soggetti tutelati rientrano – oltre ai portatori di handicap oppure ai soggetti non deambulanti o affetti da gravi minorazioni congenite o acquisite – anche gli invalidi civili, i soggetti in condizioni fisiche impeditive dell’uso delle scale o nello spostamento tra i vari piani dello stabile, gli ultrasessantacinquenni o, comunque, gli anziani aventi difficoltà persistente a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età avanzata; potrebbero rientrare anche gli ammalati o gli infortunati temporanei” A. Celeste, Barriere architettoniche e tutela dei portatori di handicap, Milano, 2008, 95, che, però, precisa: “l’ipotesi in cui si richiede la ricorrenza di determinati requisiti soggettivi è, invece, disciplinata nel comma 2 del citato art. 2, che consente unicamente a determinate persone di rivolgere una richiesta formale al condominio e, in caso di rifiuto o inerzia, la possibilità di installare a proprie spese dati impianti”.

[5] Cass., Sez. II, 20 aprile 2005, n. 8286; Cass., Sez. II, 29 luglio 2004, n. 14384.

[6] Il concetto di indispensabilità dell’impianto elevatore è espresso anche da Cass., Sez. II, 3 agosto 2012, n. 14096, la quale si spinge ad affermare che “in altri termini, l’esistenza dell’ascensore può senz’altro definirsi funzionale ad assicurare la vivibilità dell’appartamento, sia cioè assimilabile, quanto ai principi volti a garantirne la installazione, agli impianti di luce, acqua, riscaldamento e similari”; ciò con riferimento agli edifici di nuova costruzione ovvero alle ristrutturazioni integrali, di cui all’art. 1, L. n. 13/1989, la cui previsione, tuttavia, “non può non costituire un criterio di interpretazione anche per la soluzione dei potenziali conflitti che dovessero verificarsi con riferimento alla necessità di adattamento degli edifici esistenti alla prescrizioni dell’art. 2”. Sul concetto di impianto indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, anche Cass., Sez. II, 30 giugno 2014, n. 14809. In termini analoghi, il Trib. Napoli 16 novembre 1991, sent. (in Arch. locaz., 1992, 373) già affermava che “l’installazione dell’ascensore costituisce una delle eccezioni alla regola dell’applicabilità delle norme sulle distanze in campo condominiale in quanto l’ascensore va considerato alla stregua di un impianto indispensabile ai fini di una civile abitabilità in sintonia con l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini”.

[7] Il principio della “solidarietà condominiale” viene riaffermato, di recente, da Cass., Sez. II, 28 marzo 2017, n. 7938, la quale precisa, altresì, che “la L. n. 13 del 1989, in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico”. Sempre in tema di solidarietà condominiale, Cass., Sez. II, 5 agosto 2015, n. 16486 e Cass., Sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334. Già ispirata a principi di “eguaglianza e di solidarietà” la sentenza del Trib. Milano 7 maggio 1992 (in Arch. locazioni 1992, 814), legittimante “l’installazione ex legge n. 13 del 1989 di una piattaforma mobile idonea al sollevamento del livello giardino, al livello del piano della hall”; analogamente, per “ragioni di pubblico interesse e di solidarietà sociale”, la Pretura Pordenone, sentenza 14 giugno 1994 (in Arch. locazioni, 1996, 102), aveva escluso che l’installazione di un ascensore, richiedente una modesta escavazione nel sottosuolo comune, costituisse spoglio del possesso di altri condomini.

[8] Lungimiranti appaiono le parole del Giudice delle leggi, in relazione al fatto che la L. n. 13/1989 “non si è limitata ad innalzare il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma ha segnato, come la dottrina non ha mancato di sottolineare, un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati ora quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall’intera collettività. Di tale mutamento di prospettiva è segno evidente l’introduzione di disposizioni generali per la costruzione degli edifici privati e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone handicappate” (Corte cost. 10 maggio 1999, n. 167). Coerente con tali principi, Cass., Sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334: “Secondo una lettura costituzionalmente orientata e in applicazione sia del principio di solidarietà condominiale che della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità 13 dicembre 2006, ratificata con L. 3 marzo 2009, n. 18, la deliberazione di installazione di ascensore con una maggioranza inferiore a quella prescritta dall’art. 1120 c.c. è valida anche in mancanza di specificazione del fine di eliminazione delle barriere architettoniche ai sensi dell’art. 2 L. n. 13 del 1989 e, altresì, in assenza di disabili nell’edificio, in quanto nella stessa è immanente la finalità legittima di consentire l’accesso ai portatori di handicap senza difficoltà in tutti gli edifici e non solo presso la propria abitazione”.

[9] L’impossibilità di poter osservare, tenuto conto delle particolari caratteristiche dell’edificio (nella specie di epoca risalente), tutte le prescrizioni previste dalla normativa speciale, “non può costituire comunque circostanza tale da comportare la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l’accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica, laddove, come nel caso di specie, l’intervento abbia comunque conseguito, come nella specie accertato dai giudici di merito, un risultato conforme alle finalità della legge, comportando una sensibile attenuazione delle condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione, rispetto alla precedente situazione (Cass., Sez. VI, 26 luglio 2013, n. 18147). Ispirata ai medesimi principi, Cass., Sez. II 30 giugno 2014, n. 14809: rigettando il motivo d’impugnazione basato sul fatto che l’ascensore non avesse i requisiti minimi dimensionali di cui al D.M. 14 giugno 1989, n. 236 onde beneficiare, per la relativa approvazione, delle maggioranze assembleari agevolate, la Corte relega tale aspetto alla “distinta questione” della esecuzione della delibera, non incidente sulla legittimità della medesima, “in relazione alla quale acquisteranno rilevanza le autorizzazioni amministrative, subordinate evidentemente alla regolarità delle caratteristiche tecniche dell’ascensore da realizzare nell’edificio condominiale”. Trib. Napoli 20 luglio 2016, inedita, pur partendo da queste premesse, definisce il giudizio in senso contrario, in particolare per la considerazione che parte attrice non avesse provato “l’assenza di progettazioni alternative”, che consentissero il pedissequo rispetto della normativa tecnica.

[10] Cass., Sez. II, 27 dicembre 2011, n. 28920, invece, non aveva sconfessato le decisioni dei due precedenti gradi di giudizio, le quali avevano accertato il diritto del singolo condomino alla realizzazione, a proprie spese, di un servoscala nell’immobile, ma anche non il diritto alla realizzazione di un ascensore esterno, negata dall’impugnata deliberazione assembleare del condominio. Dello stesso avviso, G. Terzago, Il Condominio, Milano 2000: “Le innovazioni invece eseguibili ai sensi del comma 2 dell’art. 2, cioè quelle poste in essere dal portatore di handicap (ovvero da chi ne esercita la tutela o potestà), a proprie spese, nell’ipotesi di rifiuto o mancata risposta da parte del condominio, oltre ai limiti sopra menzionati (art. 1120, comma 2, c.c.), possono riguardare tassativamente soltanto gli interventi specificati nel comma stesso, quali, a titolo esemplificativo, il servoscala, la piattaforma mobile, i sistemi di apertura automatica di porte e cancelli, le carrozzelle elettriche montascale (ma non anche, quindi, l’ascensore)”. Singolare la motivazione di Trib. Torino 7 maggio 2015, inedita, che giunge perfino a negare il carattere di barriera architettonica alle scale ed esclude si possa annoverare l’ascensore tra i dispositivi di cui al comma 2 dell’art. 2, L. n. 13/1989: “Del resto, altro è ‘eliminare barriere architettoniche’ esistenti (es.: demolizione di un muro) e ben altro è realizzare un quid novi prima non esistente. Considerare la realizzazione di un impianto del genere di quello ipotizzato alla stregua di una mera eliminazione di una barriera esistente (e quale barriera, di grazia? Le scale, che sono – tutto al contrario di una barriera – il trait d’union tra i vari piani e il piano terreno? E poi l’installazione dell’ascensore determinerebbe forse l’abbattimento delle scale?)”, dopo aver, altresì, precisato che il “pari uso” da considerare ai fini dell’art. 1102 c.c. “non è, ovviamente, l’uso dell’ascensore – anche se concesso agli altri condomini – ma l’uso del diritto di realizzare un altro ascensore ed un altro ancora ed altri ed altri ancora, tanti quanti sono i condomini!”.

[11] A simili approdi erano pervenute alcune pronunce di merito: Trib. Milano 11 maggio 1989, in Giur. mer., 1989, I, 1088, che aveva ritenuto il condomino portatore di handicap legittimato ad installare a proprie spese l’ascensore quale modificazione necessaria per il miglior godimento della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., pur comportante un modesto restringimento dello spazio per il passaggio comune; il Trib. Foggia, che con sentenza del 29 giugno 1991, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 355, aveva disposto che il condomino portatore di handicap potesse installare a proprie spese un ascensore nella gabbia dell’edificio condominiale, utilizzando così la cosa comune senza alterane la destinazione e impedire agli altri condomini di farne parimenti uso. Anche Pret. Genova 21 dicembre 1998, in Nuova giur. ligure, 1999, n. 2, 30, aveva ritenuto la realizzazione dell’ascensore, richiesta da persona affetta da sclerosi multipla e costretta a muoversi su una sedia a rotelle, ricompresa nella tutela di cui all’art. 2, comma 2, L. n. 13/1989.

[12] Cfr. Cass., Sez. II, 14 febbraio 2012, n. 2156: “Alla luce del fondamentale principio regolante ogni tipo di comunione, dettato dall’art. 1102 c.c. […] una soluzione palesemente equilibrata e conforme ai principi costituzionali della tutela della salute (art. 32) e della funzione sociale della proprietà (art. 42), rimuovendo un grave ostacolo alla fruizione di un primario bene della vita, quello dell’abitazione, da parte di persone versanti in condizioni di minorazione fisica” è quella che riconosce “la facoltà agli stessi di apportarla proprie spese, una modifica alla cosa comune, sostanzialmente e nel complesso migliorativa, in quanto suscettibile di utilizzazione anche da parte degli altri condomini”. Nel caso di specie, trattavasi proprio di un ascensore, installato da alcuni condomini nella tromba delle scale, con opposizione da parte del condominio.

[13] Già ad avviso di Cass., Sez. II, 29 aprile 1994, n. 4152, qualora al posto delle scale e dell’andito si immetta un impianto di ascensore, a cura e spese di alcuni condomini, il venir meno della utilizzazione di dette parti comuni dell’edificio nell’identico modo originario non contrasta con la norma dell’art. 1120, comma 4, c.c., perché, se pure resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto migliore.

[14] A. Celeste, Barriere architettoniche, cit., 106, che pure ricorda un precedente di legittimità più restrittivo, rappresentato da Cass., Sez. II, 25 giugno 1994, n. 6109, secondo cui sarebbero nulle le delibere che, ancorché adottate a maggioranza al fine di tutela dei disabili, siano lesive dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali “utilità compensative” (nel merito, l’installazione dell’ascensore che era stata ritenuta foriera di un deprezzamento dell’appartamento di un condomino al piano terra).

[15] Cass. 12 febbraio 1993, n. 1781 e, negli stessi termini, Cass., Sez. II, 1° aprile 1995, n. 3840. Così anche Cass., Sez. II, 11 febbraio 2000, n. 1529, secondo la quale l’installazione di un ascensore in un edificio in condominio che ne sia sprovvisto può essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dello impianto ed in quelle di manutenzione dell’opera. Conformi, Cass., Sez. II, 10 aprile 1999, n. 3508 e Cass., Sez. II, 8 ottobre 2010, n. 20902.

[16] Trib. Roma 27 gennaio 2015, inedita.

[17] Cass., Sez. II, n. 7938/2017 e, nei medesimi termini, Cass., Sez. II, 26 febbraio 2016, n. 3858, la quale, sotto il profilo processuale, afferma conseguentemente che “nelle controversie in materia di uso di dispositivi finalizzati all’eliminazione delle barriere architettoniche L. n. 13 del 1989, ex art. 2, comma 2, tra i quali dispositivi è compreso il servo scala, la legittimazione a resistere in giudizio ed il correlato interesse deve essere riconosciuta in capo agli eredi del portatore di nel cui interesse il dispositivo era stato installato”.

[18] A. Celeste, Barriere architettoniche, cit., 93.

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