Studio Legale Panariti & Morelli

Riportiamo di seguito il commento del sito Altalex del 16.10.2018 all’ordinanza della Cassazione n. 22810/2018 a definizione del ricorso curato dal nostro Studio in materia di applicazione della tutela consumeristica ai contratti sottoscritti da professionisti

Contratto di telefonia dello studio legale: l’avvocato non è consumatore

Di Marcella Ferrari

Cassazione civile,  sez. III, ordinanza 26/09/2018 n° 22810

Pubblicato il 16 ottobre 2018

Nel contratto di utenza telefonica concluso anche per uso professionale, l’avvocato non riveste la qualifica di consumatore, pertanto non trova applicazione il foro esclusivo stabilito dal Codice del Consumo (art. 33 c. 2 lett. u) d. lgs. 206/2005). 

Infatti, il negozio stipulato per soddisfare interessi connessi alla professione rientra negli “atti professionali”; inoltre, il fatto di essere “contraente economicamente debole” non qualifica, di per sé, la parte come consumatore.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, Sezione III, con l’ordinanza 26 settembre 2018 n. 22810.

La fattispecie

Un avvocato concludeva un contratto di telefonia per il proprio studio professionale; a seguito di alcuni disservizi da parte dell’operatore e del conseguente ostruzionismo al rientro nella compagnia telefonica precedente, il legale conveniva in giudizio la società al fine di ottenere la condanna al risarcimento del danno patito, patrimoniale e non patrimoniale[1]. La compagnia telefonica eccepiva l’incompetenza territoriale del giudice adito (Tribunale di Monza), atteso che la pattuizione contrattuale indicava quale foro elettivo il Tribunale di Roma. In primo grado, l’eccezione di incompetenza veniva rigettata e la compagnia era condannata al pagamento, in favore dell’attore, di circa 20 mila euro. Il giudice d’appello confermava la sentenza, salvo in punto quantificazione del risarcimento. L’operatore telefonico propone ricorso in Cassazione.

Qualifica di professionista e atto professionale

L’operatore telefonico sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere applicabile il foro del consumatore, ossia il luogo del domicilio dell’attore. L’avvocato, infatti, aveva concluso il contratto per l’esercizio della professione, pertanto non doveva considerarsi come consumatore. La Cassazione ritiene fondato tale motivo di ricorso e censura la sentenza appellata. Il giudice distrettuale, infatti, ha erroneamente considerato operante la normativa consumeristica sull’assunto che il legale fosse il “contraente più debole” e che la conclusione di un contratto di utenza telefonica non integrasse un “atto professionale”. Secondo gli ermellini, la suddetta motivazione contiene due errori di diritto. Analizziamo il primo.

Ai fini dell’applicabilità del d.lgs. 206/2005, per assumere la qualifica di professionista non è necessario concludere un contratto che costituisca esercizio della professione, ma è sufficiente che tale contratto sia concluso per soddisfare interessi connessi o accessori allo svolgimento della professione. La Corte riassume l’orientamento consolidato della giurisprudenza in materia, indicando le casistiche in cui è escluso che il contraente possa qualificarsi come consumatore e, conseguentemente, invocare il foro del proprio domicilio. Non è consumatore:

a) l’avvocato che acquisti riviste giuridiche in abbonamento o programmi informatici per la gestione dello studio[2].

b) la persona fisica che abbia concluso un contratto di apertura di credito in nome proprio e abbia ottenuto il finanziamento non per sé, ma in favore della società di cui è amministratore[3].

c) l’imprenditore od il professionista che abbia stipulato un contratto di assicurazione per la copertura dei rischi derivati dall’attività dell’azienda[4].

d) il fideiussore che abbia prestato garanzia in favore di un imprenditore, per un debito d’impresa[5].

e) l’avvocato che abbia stipulato un contratto di utenza telefonica con riferimento ad un apparecchio del quale fa uso anche per l’esercizio della sua attività professionale[6].

Al lume di quanto sopra emerge che, ai fini dell’applicabilità del Codice del Consumo, per atto professionale debba intendersi non solo quello che costituisca esercizio della professione stricto sensu intesa, ma anche quello ad essa funzionalmente legato. Pertanto, rientrano negli “atti professionali” dell’avvocato non solo i contratti di mandato o consulenza con il cliente, ma anche quelli necessari o utili all’esercizio della professione. Si pensi all’acquisto di testi giuridici, alla stipula di una polizza per la responsabilità civile professionale, alla somministrazione di luce e gas per l’ufficio.

Nel caso di specie, il contratto di utenza telefonica era stato stipulato per lo studio legale, pertanto va da sé che il suo uso fosse funzionale alla professione. La corte distrettuale, quindi, ha errato ad applicare la disciplina prevista per i contratti conclusi dal consumatore.

Il consumatore non coincide con il contraente debole

Il secondo errore di diritto rilevato dalla Cassazione nella sentenza impugnata risiede nell’aver qualificato l’avvocato come consumatore in quanto “soggetto economicamente e contrattualmente debole”. Il Codice del Consumo, infatti, definisce il consumatore come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 c. 1 lett. a) d. lgs. 206/2005). La norma, dunque, non fa cenno veruno alle condizioni economiche delle parti ovvero al loro potere commerciale. Depongono in senso contrario a quanto affermato dal giudice d’appello sia la lettera della legge sia la sua ratio ispiratrice. Il Codice del Consumo, infatti, è attuativo dei precetti contenuti in una direttiva comunitaria[7] la quale voleva evitare «”distorsioni di concorrenza” nel mercato dei beni e dei servizi rivolti ai consumatori, distorsioni in precedenza derivanti dalle grandi differenze esistenti tra le legislazioni degli Stati membri in merito alla tutela del consumatore[8]». Pertanto, la sperequazione economica tra i contraenti non è di per sé sufficiente a determinare l’applicazione della disciplina consumeristica. Inoltre, non esiste alcuna corrispondenza tra la nozione di professionista (art. 3, lett. c) d. lgs. 206/2005) e quella di “soggetto forte” all’interno del rapporto negoziale[9].

Il foro del consumatore

Nel caso di specie, il motivo di ricorso che viene accolto dalla Cassazione inerisce all’incompetenza territoriale e all’applicabilità (o meno) del foro del consumatore. Il suddetto foro è esclusivo (artt. 33 c. 2 lett. u), 63, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), giacché “esclude” l’applicabilità di qualsiasi altro foro concorrente o alternativo. Pur essendo un foro esclusivo, non è inderogabile, tuttavia, la legge presume come vessatoria una clausola che preveda un foro diverso; fatto salvo il caso in cui si dimostri che sia stata oggetto di una trattativa seria, effettiva ed individuale[10]. Al di fuori di questi presupposti, la clausola si considera nulla, mentre il contratto rimane valido per il resto (art. 36 c. 1 d. lgs 206/2005). Per contro, è inderogabile il foro esclusivo del luogo in cui il consumatore ha la residenza (art. 66 d. lgs. 206/2005) nei contratti conclusi fuori dai locali commerciali dell’imprenditore; parimenti inderogabile è il foro relativo ai contratti a distanza conclusi tra consumatore e imprenditore. La ratio di tale scelta legislativa, ossia quella di favorire il consumatore nell’individuazione del foro competente, risiede nella circostanza per cui la tutela del consumatore si realizza attraverso la prossimità del giudice al luogo di residenza del contraente debole, poiché il luogo di conclusione del contratto tutela maggiormente il professionista/imprenditore a detrimento del cliente.

Conclusioni

Alla luce della pronuncia in commento e dell’orientamento dominante, deve escludersi che il professionista (sia esso avvocato, notaio, commercialista et similia) nella conclusione dei contratti di utenza per lo studio professionale (luce, gas, telefono e via discorrendo) sia qualificato come consumatore. Tali contratti, infatti, hanno un nesso funzionale con la professione, giacché sono ad essa accessori, pertanto rientrano nella qualifica di “atti professionali”, con la conseguente inapplicabilità della disciplina consumeristica.

In conclusione, la Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso (incompetenza territoriale) e dichiara assorbiti gli altri; nel caso di specie, infatti, non trova applicazione il foro dell’attore, atteso che l’avvocato non può considerarsi consumatore per due ordini di motivi: 1) il contratto di utenza telefonica rientra tra gli “atti professionali”, giacché è legato da un nesso funzionale all’attività svolta dal legale; 2) il fatto di essere “contraente economicamente debole” non qualifica, di per sé, la parte come consumatore.          

Pertanto, la sentenza impugnata viene cassata e si dichiara la competenza del Tribunale di Roma; infatti, non essendo possibile il rinvio alla Corte d’Appello di Milano, incompetente ratione loci, spetta alla Cassazione indicare il giudice competente in primo grado, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., dinanzi al quale sarà onere della parte più diligente riassumere il giudizio, ex art. 50 c.p.c.[11]

(Altalex, 16 ottobre 2018. Nota di Marcella Ferrari)

_______________

[1] In particolare, i giudici di merito hanno ritenuto che per un avvocato, l’impossibilità di fruire della linea telefonica, rappresenti un danno in re ipsa; inoltre, l’inadempimento contrattuale da parte dell’operatore telefonico aveva cagionato un danno all’immagine professionale, la lesione di un diritto di rango costituzionale, come quello alla comunicazione, oltre al cambiamento peggiorativo delle abitudini di vita e lavorative del legale.

[2] Corte Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 17466 del 31/07/2014.

[3] Corte Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21763 del 23/09/2013.

[4] Corte Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4208 del 23/02/2007; Corte Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 23892 del 09/11/2006.

[5] Corte Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 13643 del 13/06/2006.

[6] Corte Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11933 del 22/05/2006.

[7] Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993 “concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori”.

[8] In tal senso, si vedano il 2, 3 e 7 Considerando della Direttiva 93/13/CEE.

[9] Così Corte Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 15391 del 26/07/2016.

[10] Così Corte Cass. 20 agosto 2010 n. 18785.

[11] Così Corte Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10566 del 04/07/2003; più recentemente Corte Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22958 del 12/11/2010.

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