Studio Legale Panariti & Morelli

Non è necessaria autonoma istanza di mediazione in seguito a domanda riconvenzionale

La Cassazione ha da ultimo, con sentenza n. 8248/2024 del 27.3.2024 a definizione di un ricorso curato anche da questo Studio Legale, ribadito che, se nel corso di un giudizio, parte convenuta spiega domanda riconvenzionale, non è necessario esperire un autonomo tentativo di mediazione obbligatoria sul presupposto che questo rimedio, nato per accelerare la definizione del contenzioso ed agevolare la soluzione conciliativa delle pendenze, finirebbe per rappresentare invece un inutile aggravio nel giudizio istaurato, allungando inutilmente i tempi della definizione della controversia giudiziale.

Difatti, si legge nella citata recentissima sentenza, riferendosi anche alla ulteriore recente sentenza n. 3452/2024delle Sezioni Unite della Cassazione, evidenzia che quest’ultima è relativa alla: “non necessarietà di proposizione del tentativo obbligatorio di conciliazione con riguardo alle domande riconvenzionali formulate una volta introdotto il giudizio, in cui si legge: i) alla pagina n. 9, che «Posto che l’istituto (il riferimento è alla mediazione obbligatoria. Ndr] ha esclusive finalità di economia processuale, nel senso di evitare il proliferare di cause iscritte innanzi all’organo giudiziario, imporre un successivo, o più successivi ad ogni ulteriore domanda proposta nel giudizio, tentativi obbligatori di conciliazione, nel contempo differendo la trattazione della causa per mesi ad ogni nuova domanda proposta in giudizio, è un effetto eccessivo non voluto dalla norma rispetto allo scopo deflattivo perseguito»; ii) alla successiva pagina n. 18, che, «Per la Corte costituzionale, […], la mediazione obbligatoria non viola il diritto di azione, sancito dalla Costituzione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il risultato vantaggioso del cd. effetto deflattivo, senza mai divenire tale da provocare un inutile prolungamento dei tempi del giudizio. Le indicazioni del giudice delle leggi additano, in sostanza, una linea di equilibrio fra il principio di azione di ordine costituzionale e le deroghe che possono esservi apportate in funzione di interessi di estrema rilevanza, ma confermano il carattere eccezionale delle ipotesi limitative: ne deriva che le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge non possono essere aggravate da una interpretazione che conduca ad estenderne la portata (Cass. 21 gennaio 2004, n. 967, con riguardo alla conciliazione lavoristica)»; iii) alla pagina n. 19, che «[…] se è vero che anche un ripetuto strumento conciliativo extragiudiziale potrebbe condurre, a volte, ad una soluzione favorevole della lite al secondo, al terzo o ulteriore tentativo, è pur vero che così si finirebbe per contraddire l’intento di rendere più rapida e meno onerosa per tutti la risoluzione della controversia, quando questa sia ormai comunque instaurata. Effetto deflattivo, ragionevole durata e divieto di inutili intralci sono, dunque, principî ampiamente presenti anche innanzi al giudice delle leggi. L’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 estende a numerose materie la mediazione obbligatoria, al fine di evitare l’introduzione della lite ed assicurare una maggiore celerità al processo, non di ostacolarla oltre il ragionevole. Dovendosi dunque, piuttosto, secondo il legislatore pervenire – è la ratio sottesa – al processo ordinario, una volta infruttuosamente esperito il tentativo di mediazione in via obbligatoria senza che esso sia andato a buon fine, quale condizione di procedibilità da applicare al solo atto introduttivo, non a tutte le “domande” proposte nel processo»; iv) alle pagine 21-22, che, «In definitiva, la mediazione obbligatoria ha la sua ratio nelle dichiarate finalità di favorire la rapida soluzione delle liti e l’utilizzo delle risorse pubbliche giurisdizionali solo ove effettivamente necessario: posta questa finalità, l’istituto non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle predette finalità ed essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia, in un bilanciamento dal legislatore stesso operato, secondo una lettura costituzionale della disposizione in esame, affinché, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto, e dall’altro lo stesso non si determini una sorta di “effetto boomerang” sull’efficienza della risposta di giustizia. Per ogni altro profilo, sussiste il compito generale del giudice, a fini di risparmiare risorse giurisdizionali e non emettere la sentenza, di tentare e proporre egli stesso la conciliazione (artt. 185, 185-bis c.p.c.), dove il tentativo di conciliazione potrà avere svolgimento con maggiore probabilità di esito positivo. Va anche precisato che spetta al mediatore, nel diligente adempimento del suo incarico professionale, esortare le parti a mettere ogni profilo “sul tappeto”, […]».

Condividi l’articolo su Linkedin:

Avvocato Paolo Panariti
Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Il contenuto è protetto!