Di seguito il commento pubblicato da Il Quotidiano Giuridico del 6.11.2019 all’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 26946/2019, a definizione del ricorso curato anche da questo Studio Legale in materia bancaria e di interessi di mora ed usurari
di Dentis Luigi Avvocato in Torino e Vice Procuratore Onorario presso la procura della Repubblica di Cuneo
La prima sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26946/2019, sottopone alle Sezioni unite la questione dell’assoggettabilità degli interessi di mora alla disciplina di contrasto all’usura chiedendo che il massimo collegio, in ipotesi di risposta positiva al quesito, chiarisca anche le modalità del raffronto con il TSU.
Come auspicato dai più, la Suprema Corte, nel tentativo di operare una reductio ad unum delle variopinte tesi coniate dalla Giurisprudenza, ha rimesso alle Sezioni unite alcune delle principali questioni che attengono ai rapporti tra gli interessi moratori e la disciplina di contrasto all’usura.
Nello specifico, viene sollecitata una ulteriore riflessione riguardo alla riferibilità stessa della disciplina in questione agli interessi moratori.
Più nel dettaglio, la prima sezione si chiede se, alla luce delle critiche mosse alla soluzione positiva nonché dell’affermarsi del c.d. principio di simmetria, la posizione della Corte possa essere rimeditata o, comunque, se debba essere oggetto di un più approfondito sforzo argomentativo.
In ipotesi di conferma dell’indirizzo attualmente in voga, le Sezioni unite dovranno stabilire forme e modalità del raffronto tra il tasso di mora e il TSU, in particolare chiarendo se sia sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato in base alla rilevazione del tasso effettivo globale medio, o se, viceversa, la mera rilevazione del relativo tasso medio, sia pure a fini dichiaratamente conoscitivi, imponga di verificarne l’avvenuto superamento nel caso concreto, e con quali modalità debba aver luogo tale riscontro, alla luce della segnalata irregolarità nella rilevazione.
La mora e il TSU: contrasto o questione di massima importanza?
Il ricorso al massimo intervento nomofilattico è chiaramente dettato dall’esigenza di offrire agli interpreti una soluzione di riferimento, ponendo così fine alla molteplicità di soluzioni che una giurisprudenza, forse mai così creativa, continua a partorire.
C’è da dire, tuttavia, che ha destato vivo stupore che l’oggetto della questione sia stato esteso anche alla rilevanza degli interessi moratori in relazione alla disciplina di contrasto all’usura.
La problematica, infatti, è stata sempre univocamente affrontata (quantomeno in sede di legittimità) nella medesima prospettiva e non sempre (come, invece, pretende una certa critica) in forme apodittiche.
Lo stupore risiede nel fatto che ai più pareva che il problema dovesse ritenersi definitivamente superato proprio dalla nota ordinanza “manifesto” n. 27742/2018, successiva all’intervento delle Sezioni Unite in tema di CMS, che aveva ampiamente e profusamente motivato in ordine alla riferibilità dell’art. 644 c.p. anche agli interessi moratori.
Ad avviso di chi scrive, il tema riemerge in virtù di un equivoco interpretativo, alimentato proprio dai principi (molto criticati) desumibili dalla richiamata pronuncia n. 16303/2018.
Anche nella ordinanza di rimessione, infatti, sembra riecheggiare la tesi che individua l’aporia del sistema nella circostanza per la quale il tasso di mora non sarebbe stato oggetto di rilevazione trimestrale e, per questo solo motivo, non assoggettabile all’obbligo di rispetto della soglia.
Ma proprio l’ordinanza n. 27742/2018 aveva però posto le basi di un solido percorso argomentativo affermando che il TEGM (e quindi il TSU) viene determinato non per titolo ma per classi di operazioni e che gli interessi di mora possiedono (anche se in parte) una natura del tutto compatibile con un carattere corrispettivo.
E ciò, in quanto compenserebbero l’abbassamento fisiologico del TAN a fronte del ritardato pagamento da parte del debitore.
Per questi motivi la Corte aveva ritenuto irrilevante che i tassi di mora non fossero stati fatti oggetto di una rilevazione separata e, soprattutto, aveva rigettato la tesi (diffusa nella giurisprudenza di merito) che predica la necessità di aumentare il TSU del 2,1% in ossequio ad una (sporadica) rilevazione statistica dello spread di mora contenuta nelle rilevazioni trimestrali della Banca d’Italia.
Peraltro, la cennata ordinanza aveva espressamente bacchettato la giurisprudenza di merito (nonché l’Organo di vigilanza) rea di sordità rispetto ad una regola che doveva considerarsi ormai assodata e non discutibile.
E, quantomeno sino all’ottobre del 2019, la Cassazione aveva dato continuità a tale assunto.
La Sentenza n. 26826 del 17 ottobre 2019 e il ritorno in campo del 2,1%
Nell’ottobre dell’anno in corso, tuttavia, il dibattito ha ricevuto una accelerata proprio in seno alla Corte che, con la sentenza n. 26826/2019, pur formalmente ossequiando la regola della sottoposizione degli interessi di mora alla disciplina di cui all’art. 1815, comma 2, c.c., ha invece (e sorprendentemente) rivalutato la rilevazione statistica dello spread di mora effettuata (sporadicamente) dalla Banca d’Italia.
Nel cennato precedente il Collegio ha ritenuto che la presenza di tale dato consentisse di applicare la regola coniata in materia di CMS anche agli interessi moratori, quantomeno in tutti i casi nei quali il tasso degli stessi venga determinato mediante addizione di una maggiorazione percentuale al TAN.
Ad avviso di chi scrive si tratta di una soluzione del tutto arbitraria giacché le rilevazioni dei tassi medi relativi alla CMS non possono essere paragonate alla rilevazione statistica effettuata in tema di spread di mora.
In primo luogo va osservato la CMS è stata oggetto di uno scrutinio continuativo mentre, in tema di mora, si è in presenza di singole osservazioni del fenomeno e, certamente, non effettuate nei primi anni della vigenza della L. 108/1996, con la conseguenza che il dato in nostro possesso viene necessariamente decontestualizzato sotto il profilo cronologico e risulta non attualizzabile in relazione ai periodi nei quali la rilevazione statistica non è stata effettuata dall’Organo di vigilanza.
In secondo luogo perché, molto spesso, il saggio degli interessi di mora viene pattuito in misura fissa senza, cioé, individuare alcuno spread, oppure facendo riferimento al tasso Euribor, con la conseguenza che l’operazione di comparazione separata, agevole in caso di CMS, comporterebbe una artificiosa scomposizione dei due dati algebrici (TAN e spread).
Pertanto, in un quadro che rischiava di complicarsi anche in sede di legittimità, la remissione (sostanzialmente preventiva) alle Sezioni Unite è non solo giusticabile ma addirittura benvenuta.
L’oggetto della questione posta alle Sezioni Unite
Il tema posto alle Sezioni Unite è, appunto, duplice.
Da un lato, la questione della stessa rilevanza degli interessi moratori rispetto alla disciplina di contrasto all’usura.
Dall’altro, il problema dei criteri di comparazione tra il tasso di mora e il TSU ovverosia se sia sufficiente il confronto tra il tasso pattuito e il tasso soglia oppure se sia necessario applicare i principi coniati da SSUU CMS o, ancora, se sia necessario considerare i tassi concretamente applicati.
Sulla prima questione si è gia detto in precedenza e, nella prospettiva di chi scrive, appare difficilmente sostenibile che la mora non partecipi della funzione remuneratoria del capitale proprio nella misura in cui essa è destinata a sterilizzare l’abbassamento del TAN derivante dal ritardo nella restituzione della somma.
Circa la seconda questione, invece, occorre effettuare una puntualizzazione preliminare che trae le mosse dalle condivisibili conclusioni alle quali è giunta la S.C. nella sentenza n. 17447/2019 che nega cittadinanza alla c.d. teoria della sommatoria.
Infatti, se è assodato che, in ipotesi di ritardo nel pagamento, il tasso di mora vada a sostituirsi al tasso degli interessi corrispettivi, si deve necessariamente ammettere che il valore da confrontare con il TSU non è il saggio moratorio nudo e crudo ma il TEG che risulta dalla predetta sostituzione tra i tassi e che, però, continua a comprendere anche gli altri costi considerati nella fase di fisiologica esecuzione del contratto, con la conseguenza ulteriore che, si perdoni la divagazione, la portata applicativa delle c.d. clausole di salvaguardia viene ridimensionata nella misura in cui esse fanno riferimento al solo tasso di mora e non anche al TEG nel suo complesso.
Fatta questa premessa va poi ricordato che l’art. 1815, comma 2, c.c. fa comunque sempre riferimento ad una fattispecie generale del fenomeno usurario articolata su due condotte distinte, anche se potenzialmente coesistenti.
a norma, infatti punisce non solo chi si fa “dare” una prestazione usuraria ma anche chi si fa “promettere” un tale corrispettivo.
Ora, nel momento in cui si deve affrontare, si spera definitivamente, la questione del criterio di comparazione, va tenuto conto del fatto che la fattispecie che sanziona la stessa promessa usuraria non può essere marginalizzata in via pretoria, pena lo snaturamento dell’intervento riformatore del 1996.
Chi scrive condivide, pur con delle riserve, la tesi per la quale l’interesse di mora non possa essere sottoposto a vaglio di usurarietà nell’ipotesi in cui la sua applicazione risulti del tutto teorica, cioé in tutti i casi nei quali il debitore, restituendo tempestivamente il capitale, non abbia determinato le condizioni che per rendere attuale il paradigma contrattuale che si attiva in caso di andamento patologico del rapporto.
Tuttavia, se ci si pone in questa prospettiva, affermare che il vaglio di usurarietà debba essere condotto unicamente in ragione del concreto addebito di interessi in misura superiore alla soglia pur in presenza di una pattuizione usuraria, comporta necessariamente spostare il focus sul solo momento attuativo e, in definitiva, sulla sola fattispecie che sanziona il “dare”, con la conseguenza che non residua alcuno spazio per la sanzione prevista per chi si fa anche solo “promettere” interessi usurari.
E in questa ipotesi, per le ragioni già esposte, anche la teoria dello spread del 2,1% risulta inadeguata ad affrontare il fenomeno.
Ad avviso di chi scrive, quindi, appare necessario rapportare il TEG del rapporto al TSU sostanzialmente simulando il ritardo nella restituzione del capitale in riferimento ad un periodo annuale, sterilizzando così l’effetto di bilanciamento che la mora ha rispetto all’abbassamento fisiologico del TAN.
Ed in questo senso appare corretto il principio che può desumersi da una nota ordinanza istruttoria della Corte d’Appello di Torino (App. Torino, ord. 27.7.2018) che ha l’enorme pregio di restituire piena dignità all’accertamento dell’usura quale fenomeno genetico del rapporto.
Il tema dell’estensione degli effetti della nullità ex art. 1815, comma 2, c.c. è il grande escluso?
In tutto ciò ci si sarebbe aspettati che l’ordinanza di rimessione prendesse anche in considerazione il tema dell’estensione degli effetti restitutori sussistendo, sul tema, posizioni differenti in seno alla S.C. e, ovviamente, nella Giurisprudenza di merito.
Infatti, l’ordinanza n. 23192/2017 sembra accogliere la tesi dell’integrale gratuità del contratto con estensione della nullità ex art. 1815 c.c. anche agli interessi corrispettivi pattuiti nel rispetto della soglia.
Ciò si ricava dal corpo del provvedimento laddove si da conto del fatto che il giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato aveva in effetti riconosciuto all’Istituto di credito la sola sorte capitale del credito, espungendo tutte le altre somme invocate a titolo di interessi.
Tale lettura risulta poi confortata dalla circostanza per la quale la Banca aveva espressamente sollevato in merito un motivo di ricorso, anche questo travolto dalla pronuncia di inammissibilità per manifesta infondatezza.
Per contro l’ordinanza n. 27742/2018 aveva affermato, in un criticato obiter dictum, che l’assoggettamento degli interessi di mora alla disciplina anti usura non fosse piena giacché, in ipotesi di pattuizione degli stessi in misura superiore al TSU, gli interessi avrebbero comunque dovuto essere corrisposti nella misura legale, con esclusione, quindi, della previsione di gratuità del mutuo.
Tale assunto aveva indotto la successiva giurisprudenza (ad esempio la pronuncia n. 17447/2019) ad affermare esplicitamente che proprio per questo motivo la nullità degli interessi di mora ai sensi dell’art. 1815, comma 2, c.c. non potesse estendersi anche agli interessi corrispettivi.
Proprio le stesse ragioni che hanno indotto la Corte alla remissione alle SSUU, ad avviso di chi scrive, avrebbero imposto di estendere il quesito anche a questo spinoso profilo, con la conseguenza che si rischia di perdere l’occasione per una pronuncia che definisca finalmente il quadro di riferimento, evitando l’alea processuale che ormai caratterizza questo tipo di contenzioso.
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